L’evoluzione dell’individuo umano inizia nel momento in cui comincia ad esistere come “progetto” nella mente dei suoi genitori, anche se, naturalmente, in questo caso si può parlare solamente di evoluzione dal punto di vista affettivo: l’evoluzione dal punto di vista biologico, infatti, si può dire iniziata solo nel momento della nascita biologica, cioè del concepimento.
IL progetto dei genitori può nascere, invece, molto tempo prima che il concepimento si verifichi, e quel bambino così sognato entra già a far parte della sua famiglia, proprio come se fosse presente lì, con la coppia che lo attende.
Può comunque capitare che la nascita biologica sia preceduta da un “non – progetto”: questo succede quando la gravidanza arriva senza che sia stata programmata, né messa in conto.
Anche se la situazione ottimale è sicuramente quella del bambino la cui nascita è preceduta da un progetto, non necessariamente il bambino nato “per caso” avrà un destino diverso dall’altro: può capitare, infatti, che il progetto si delinei a concepimento avvenuto, come attesa di quel bambino non programmato ma comunque accettato, ora che c’è, e questo è sufficiente a far sì che egli si senta parte integrante del nucleo familiare da quel momento in poi.
Non sempre, comunque, la presenza di un progetto preesistente nella mente dei genitori è garanzia di accettazione e desiderio del bambino in quanto tale: è questo il caso del progetto non finalizzato al bambino, bensì a risanare magari un rapporto di coppia in crisi, oppure a curare una malattia del figlio maggiore, o altro ancora.
Nel periodo dell’attesa, tutte le coppie fantasticano sul bambino; possono essere fantasticherie costruttive: il bimbo sarà bello, bravo, biondo, con gli occhi azzurri, ….
Ma possono anche essere fantasticherie distruttive: paure e timori, magari indotti da aborti ripetuti, o dall’esistere di effettive situazioni di rischio. La fantasia fa nascere il bambino nella mente, gli dà uno spazio tutto suo nella mente dei suoi genitori. Al momento dell’incontro, della conoscenza reciproca, il bambino reale può corrispondere a quello della fantasia e questo sarà una fonte di grande gioia, ma potrà anche non corrispondervi: in questo caso, i genitori possono restare delusi e si produce quella che viene definita “una ferita narcisistica”, uno stacco tra la realtà e l’irrealtà, tra il sogno e il reale.
Queste modalità possono essere, però, positivamente modificate dall’uso di quello strumento diagnostico che è l’ecografia pre – natale: grazie ad essa, infatti, i genitori possono assistere, “in diretta”, ai primi movimenti del loro bambino, vederlo, coglierne le prime caratteristiche (il sesso, la lunghezza, la dimensione…). Per la immediatezza che offre l’aspetto visivo (la visione sul monitor), rispetto all’aspetto tattile (la percezione dei movimenti del bambino nel grembo materno attraverso la semplice pressione delle mani sul ventre), è più facile, per i genitori, collocare quel bambino in uno spazio mentale tutto suo, dove possa cominciare a vivere come se fosse presente in mezzo a loro.
FINALMENTE E’ ARRIVATO!
Clinicamente parlando si considerano tre periodi importanti per il nostro bambino appena nato:
- IL periodo pre – natale: è il periodo dell’attesa, la preparazione al passaggio dalla vita intra – uterina a quella extra – uterina, per intenderci, riguarda i nove mesi della gestazione;
- il periodo neo – natale: è il momento della nascita alla vita extra – uterina, diventa il momento privilegiato della conoscenza tra i genitori ed il loro bambino;
- il periodo post – natale: si riferisce all’allevamento, all’accudimento del neonato, alla cura concreta delle sue necessità fisiologiche, ma riguarda anche la modalità affettiva dell’accudimento. Cioè come esso si svolge dal punto di vista della relazione tra la madre e il suo bambino, nonché tra il padre e il suo bambino.
Ognuno in modo diverso e per motivi diversi, sono tutti momenti cruciali per il nostro bambino. In ognuno di questi tre momenti possono intervenire delle modificazioni che si ripercuoteranno sulla crescita futura.
Conosciamo bene ormai le conseguenze di malattie o traumi intervenuti nel periodo gestazionale, come conosciamo altresì le conseguenze delle complicanze del travaglio e del parto.
Meno conosciute sono le implicazioni affettive dei rapporti che si vengono ad instaurare tra il neonato ed i suoi genitori, eppure queste sono sicuramente importanti e fondamentali per la crescita dell’individuo. L’accettazione, la serenità, la gioia, come anche la stanchezza, la depressione, sono tutti messaggi che arrivano al bambino e vengono da lui recepiti come diretti a sé. Tutto è diretto a lui, rivolto a lui, non c’è distinzione, specie nei primi tempi, tra questo sé e la sua mamma: per questo egli rispecchia fedelmente lo stato d’animo materno, nei vari frangenti, come se i due vivessero una simbiosi, un rapporto esclusivo. E, in realtà, di rapporto esclusivo si tratta, almeno per un certo tempo, almeno fintanto che qualcosa, o qualcuno, non interviene a mutare questo stato idilliaco.
Non meno importante, comunque, è il rapporto affettivo che si viene ad instaurare con la figura paterna, se pur diverso da quello con la figura materna: oggi sono numerosi i papà che amano essere coinvolti nell’accudimento e nell’allevamento del bambino e questo è un grande vantaggio rispetto al passato. In tal modo infatti, il figlio scopre precocemente l’esistenza di una figura diversa dalla madre che, però, non lo ama di meno: semmai questo “altro” manifesta l’amore con modalità diverse e gli permette, anche, di andare verso il mondo dell’esperienza con approcci diversi.
IL NEONATO: QUESTO SCONOSCIUTO
Quando nasce, il bambino possiede già un bagaglio di esperienze innate (precedenti la nascita) sul piano psicologico ed anche alcuni movimenti chiamati “riflessi”.
Uno di questi è il “Riflesso di Moro”: il bambino, istintivamente, se viene a perdere l’appoggio posteriore, allarga le braccia. Di questo riflesso si possono dare due interpretazioni: una concreta, che spiega l’allargamento ed il successivo incrocio delle braccia in alto come necessità pratica di dare fiato ai polmoni; l’altra interpretazione è quella ancestrale, che vede in questo tipo di risposta neonatale, un retaggio della vita degli uomini primitivi, un ricordo di quando vivevano sugli alberi, da cui emergeva la necessità di aggrapparsi ai rami per sostenersi.
IL “Riflesso della suzione” è già presente nella vita pre – natale ed è un riflesso di sopravvivenza, è quello che permette al neonato di alimentarsi, già fin dai primi momenti di vita extra – uterina.
IL “Riflesso di raddrizzamento” è quello che permette al bambino di nascere, di uscire dalla cavità uterina, estendendo le gambe.
IL “Riflesso dei punti cardinali” riguarda la zona attorno alla bocca che reagisce allo stimolo tattile: la bocca, già a quest’età viene usata come fonte di conoscenza.
IL “Riflesso di Gasp” è la capacità prensile delle dita dei piedi e delle mani che tendono a stringere qualunque cosa gli venga porta; è una risposta motoria, più che un riflesso vero e proprio, ed è già presente nella vita intra – uterina, quando il bambino gioca con il cordone ombelicale.
La “Deambulazione automatica”, è la tendenza del neonato a muovere alcuni passi su una superficie piana, se viene sorretto dall’adulto.
Tutte queste sono chiamate “motricità fetali”: ciò sta a significare che il bambino, già nella vita uterina, è una unità psicologica vera e propria, in quanto è bersaglio di stimoli, i rumori esterni. Egli, alla nascita, possiede già una conoscenza psicologica, quella sul proprio funzionamento motorio nella cavità uterina: è una conoscenza di sé.
IL bambino, alla nascita, passa da un ambiente di vita conosciuto, il grembo materno, dove non era soggetto alla forza di gravità, ad un ambiente totalmente nuovo: tutto il conosciuto, alla nascita, è da rifare, si ricomincia da capo.
Alcune delle motricità fetali che abbiamo esaminato sono recessive, cioè devono scomparire per lasciare il posto ad altri tipi di motricità:
- il “Riflesso di Moro” deve scomparire perché se il bambino continua ad usarlo come risposta alla perdita di appoggio posteriore, non rimarrà mai seduto, non potrà comparire la reazione paracadute, di appoggio laterale delle braccia e, di conseguenza, non sviluppando la capacità di rimanere seduto, non svilupperà la capacità di camminare.
- Un altro riflesso che scomparirà è quello della deambulazione automatica: non ha nulla a che vedere con il riflesso di sostegno che comparirà in tempi successivi, né con il camminare vero e proprio.
In conclusione, possiamo affermare che, caratteristica fondamentale del soggetto “UOMO” è “L’EVOLUTIVITA’”, cioè il cambiamento continuo: le funzioni che via via compaiono dipendono da quelle preesistenti, sono, cioè, interdipendenti.
L’ATTACCAMENTO DEL BAMBINO
Le modalità dell’attaccamento riguardano le prime esperienze che l’essere umano fa come attaccamento alla figura di riferimento: poiché, di norma, la figura di riferimento è la madre, si parla più diffusamente di “Attaccamento materno – infantile”.
Perché l’attaccamento si sviluppi esistono quelli che vengono chiamati “requisiti”: essi possono essere a carico della madre”, o comunque della figura adulta di riferimento = disponibilità, accettazione, comprensione delle richieste del neonato; vi sono anche, però, i “requisiti a carico del bambino” = alcune sue modalità comportamentali possono rendere più agevole l’attaccamento, altre possono renderlo più difficile.Alcuni esempi in tal senso riguardano il pianto del bambino: il bimbo che piange poco ed è tranquillo facilita l’attaccamento, mentre quello che dorme poco rende l’attaccamento più difficoltoso.
In questo ambito possiamo distinguere:
- L’attaccamento sicuro: il bambino sviluppa un senso di fiducia, sente che la madre sarà disponibile nei suoi confronti, pronta a dargli aiuto se lo richiederà, sa che, ogniqualvolta avrà bisogno di lei, sarà presente.
- L’attaccamento ansioso – resistente: il bambino è incerto se la mamma sarà disponibile, presente, pronta ad aiutarlo nei suoi bisogni; si tratta, generalmente, di madri ansiose, insicure, che fissano prevalentemente la loro attenzione sull’aspetto esteriore dell’accudimento del figlio.
- L’attaccamento ansioso – evitante: il bambino non ha alcuna fiducia nel fatto che, quando cercherà aiuto riceverà una pronta risposta, anzi, si aspetta di essere rifiutato. Questo situazione è generata da una “ferita narcisistica”, da una non corrispondenza tra il bambino presente nel progetto mentale dei genitori ed il bambino reale: per lui non c’è posto nella sfera mentale dei suoi genitori.
LE DIVERSE “ ETA’ ” DEL BAMBINO
IL bambino, nella sua crescita e maturazione, nel suo cammino per diventare “grande”, deve passare attraverso alcune fasi che caratterizzano periodi ben precisi della vita:
- All’inizio il neonato è completamente dipendente dall’adulto, da lui dipende in modo fisico, per la soddisfazione delle sue esigenze fisiche e fisiologiche, di soggetto non autosufficiente alla sua sopravvivenza. Questa dipendenza fisica, però, ben presto si esaurisce, verso i 12 – 14 mesi, non appena, in altre parole, il bambino è in grado di camminare e, perciò, di soddisfare da sé molte delle sue richieste. La dipendenza psicologica, invece, dura per molto tempo ed è soppiantata solamente dalla fase dell’egocentrismo.
- L’egocentrismo caratterizza il bambino nell’età della scuola materna, vale a dire nel periodo che va dai tre ai sei anni: l’individuo si percepisce come se fosse al centro del mondo, onnipotente, e richiede la centralità e l’esclusiva attenzione da parte dell’adulto. Come tutte le fasi di crescita, anche questa deve essere superata perché, in caso contrario, limiterebbe notevolmente il bambino nella socializzazione, non permettendogli di stabilire corretti rapporti con i coetanei.
- All’egocentrismo fa seguito il periodo dell’eteronomia: siamo in quella fase chiamata di latenza, dove i grandi conflitti che avevano caratterizzato i primi anni della scuola materna sono ormai sopiti, questa è l’età che va dai cinque – sei anni alla fase puberale, cioè all’incirca verso gli 11 – 12 anni. A differenza degli anni precedenti, ora il bambino accetta di buon grado le regole che provengono dall’adulto, e riesce a seguirle senza grandi sconvolgimenti: è questo il periodo in cui l’insegnante è visto come onnisciente, colui che ha sempre ragione.
- La fase dell’autonomia caratterizza il periodo adolescenziale, cioè quegli anni che vanno dai 12 ai 16 – 18 anni: qui è presente l’accettazione della regola che è fatta propria, in rapporto con altri soggetti autonomi, siano essi gli adulti, cui si sente ormai pari.
VERSO UN SUPERAMENTO DELL’EGOCENTRISMO
Al suo ingresso nella scuola materna il bambino è nel pieno di quella fase denominata “egocentrismo”: egli si sente al centro del mondo, piccolo pianeta attorno al quale gli “altri” gravitano come satelliti.
Spesso i genitori avvertono questo periodo come quello dei capricci, in cui il loro piccolo “despota” richiede e pretende, oltre ad un’attenzione incondizionata e continua, anche una pronta soddisfazione d’ogni suo desiderio: sembra incapace di attendere, vuole tutto e subito. In realtà, il bambino di quest’età si percepisce e si vive proprio come un “sultano” e sembra proprio non riuscire a comprendere perché, in certi momenti, gli adulti non corrispondono alle sue attese.
Spesso, in questo periodo giunge nella famiglia un nuovo personaggio: il fratellino appena nato. Accade così che il nostro piccolo despota si trovi a dividere il suo regno con un altro sovrano, con il quale deve imparare, poco alla volta, a convivere e a condividere affetti, spazi, proprietà.
E’ in tal modo che, molto spesso, si risolve il periodo dell’egocentrismo: il graduale passaggio avviene attraverso i momenti della gelosia per il nuovo nato ma anche quelli della scoperta che con lui si può giocare assai meglio che con gli adulti; attraverso il rancore per colui che l’ha spodestato dal suo ruolo di piccolo principe, ma anche il piacere di condividere con qualcuno i rimproveri dei genitori.
Laddove le situazioni sono diverse, dove, in altre parole, il bambino è figlio unico, oppure ha fratelli maggiori di lui di molti anni, è fondamentale il ruolo della scuola materna per aiutarlo a superare il periodo dell’egocentrismo: nella scuola il bambino si trova a confrontarsi con i coetanei, con altri soggetti che, come lui, rivendicano l’attenzione dell’adulto di riferimento, in questo caso l’insegnante; si trova a dover condividere spazi di movimento, giochi e altre cose. Al primo momento di sconcerto, di crisi vera e propria (e non potrebbe essere altrimenti, dal momento che si sente letteralmente spodestato dal suo ruolo), subentra un periodo d’osservazione della situazione dall’esterno: egli osserva ciò che accade, le dinamiche che s’instaurano tra i vari personaggi che popolano questo nuovo mondo; in seguito comincia, pian piano, ad impadronirsi di un giocattolo che gli piace e gioca, solo, accanto ad altri che giocano soli come lui e ad altri che, dal canto loro, hanno già trovato un loro posto nel gruppo.
La fase successiva è quella della conoscenza reciproca, dei tentativi di trovare un accordo per dare origine ad un gioco comune: ecco così che, lentamente, il nostro bambino esce dall’egocentrismo per incontrare l’altro, il compagno di giochi con cui è veramente più bello giocare, e non importa se deve dividere i giochi con lui, se la maestra è lì non solo per lui, è comunque più bello perché non si è più soli.