Mi permetto di riportare il contributo di una cara amica, insegnante per molti anni nella scuola primaria, contributo che ritengo importante e significativo.
Il corsivo è bello
“Che il corsivo, quello italico aldino in particolare, sia considerato dai grafici di una rara eleganza e non lo disdegnino le generazioni dei grafici digitali è una prova lampante che sarebbe un guaio perderlo.
Per tutti i titoli io sono tornata da tempo al corsivo, con grande soddisfazione mia e dei miei clienti e allievi. Il corsivo non stacca come il grassetto, evidenzia in modo più delicato e contribuisce a dare al testo un effetto “bassorilievo”, di sottile plasticità e movimento, in cui le parole importanti vanno in modo naturale verso il lettore. Un testo “visivo” anche quando è fatto di sole parole.” (Cristina Lavazza)
Una pratica da non perdere
Scrivere a mano in corsivo è bello.
Non lo penso solo io.
Sono in buona compagnia: di esperti in calligrafia, psicologi e pedagogisti.
E se la compagnia non fosse così autorevole, sosterrei ugualmente questa posizione per l’esperienza più che quarantennale di scrittura con i bambini nella scuola primaria.
“Con l’avvento della stampa si pensava che la scrittura a mano sarebbe scomparsa. Invece è diventata uno strumento propulsore che ha dato vita a una moltitudini di scritture individuali desiderose di pubblicazione.
Allo stesso modo, ora che stiamo gradualmente perdendo la scrittura manuale in favore di quella digitale, ci si rende conto che la calligrafia non serve solo a trasmettere un messaggio, ma anche un bisogno profondo di esprimere la propria specifica, inimitabile personalità.” (Monica Dengo)
In ambito antropologico e più ancora sul versante psicopedagogico e delle neuroscienze si prende sul serio la riflessione su cosa comporti conservare o perdere la pratica dello scrivere a mano in corsivo: da Monica Dengo che di calligrafia s’intende, senza alcun dubbio, a Manfred Spitzer, psicologo che nel suo “Demenza digitale”, Il Corbaccio Ed., sostiene che perdere la dimestichezza con penna, carta, scrittura a mano abbia effetti negativi sull’ippocampo, al professore Benedetto Vertecchi, il quale ribadisce: “Perdere la capacità di scrittura manuale sembra avere dei risvolti negativi sulla qualità del pensiero; infatti quando si scrive con la tastiera c’è più distacco tra la persona e il testo. Viceversa scrivere a mano metterebbe in moto qualcosa nel nostro cervello e non solo migliorerebbe la padronanza della lingua, ma ne sarebbero influenzate perfino le capacità mate-matiche.”
Alcuni buoni motivi… al volo
Scrivere a mano ed in corsivo non solo può essere ritenuto bello, ma perfino utile e benefico; infatti non pochi sono i buoni motivi a sostegno di tale pratica.
Al volo, così come aleggiano dentro, ne propongo alcuni.
Ri-scoprire la bellezza della scrittura manuale in corsivo, usando carta e penna è come dare il permesso alle dita di inseguire i ritmi dell’anima e del pensare, del respiro e della circolazione sanguigna, del battito cardiaco e delle effettive possibilità legate al proprio stato di salute generale e specifico delle nostre articolazioni.
Scrivere a mano per vedere fuori di noi la traccia di parte di noi, quella di quel preciso momento o tempo o stagione della vita: una sorta di specchio di fronte al quale non sono possibili trucchi e belletti sul già scritto.
Scrivere a mano per non perdere un’abilità squisitamente antropologica, per non appiattirci sull’asservimento alla velocità o sul pregiudizio che sia ormai un atto desueto.
Scrivere a mano per continuare a stimolare zone del cervello che – solo con la scrittura digitale – sarebbero poco utilizzate col rischio di atrofizzarsi prematuramente.
Una proposta semplice per tutti
Si tratta ogni tanto, in alternativa al computer, di ri-usare uno strumento che s’afferra dolcemente e si fa scorrere secondo il ritmo a cui il nostro corpo accondiscende in quel momento.
Da un lato riprenderemmo contatto con le cose – la penna, la matita, i colori, il foglio, la carta, i quaderni… – riutilizzando tutti i sensi già nel preludio dello scrivere, e dall’altro ri-consegneremmo questa naturale pratica ad un tempo più lento e pacificato; dall’altro ri-consegneremmo questa naturale pratica ad un tempo più lento e pacificato; soprattutto avremmo modo di collegare pensiero, emozioni, percezioni ai gesti del corpo e alle cose in un atto semplicissimo, libero ed intenzionale.
Scrivere a mano è significativo per sé e per gli altri.
Anche senza affrontare i problemi grafologici, ossia quelli legati all’ individuazione dei tratti di personalità e all’unicità della grafia di ciascuno, si intuisce come scrivere col proprio personale corsivo implica una comunicazione non asettica ed impersonale.
Scrivere col proprio personale corsivo ha a che vedere con la consapevolezza di lasciare traccia di sé senza nascondimenti. E lasciarla a lungo, nel tempo.
Un aneddoto che dà da pensare
A questo proposito riporto un aneddoto che mi pare esemplare: “Il primo gennaio del 1863, il Presidente Abramo Lincoln è in procinto di firmare il “Proclama di Emancipazione”, documento col quale si sancisce la liberazione degli schiavi negli Stati confederati d’America; però al momento della firma Lincoln ha un attimo di esitazione. Ha stretto troppe mani nei momenti precedenti alla cerimonia, anche per festeggiare il capodanno, e adesso avverte un certo torpore e agitazione alla mano. Da qui la pausa, cui seguono le seguenti parole: «Se mai la mia anima dovesse finire in un documento, è con la firma di questo documento che accade. Ma se dovessi firmare con una mano scossa e agitata, in futuro si dirà che ho esitato al momento di farlo». Quindi il Presidente, riacquisita la calma, appone una firma chiara e marcata sull’atto.
Lincoln intuisce con chiarezza che del suo carattere parleranno non solo le parole e i fatti, ma anche il tratto lasciato dalla penna.” (Da: parER – Polo archivistico Emilia Romagna – 29 novembre 2013)
eva
(eva.maio@alice.it)